Diversity is not a crime
Diversity is not a crime
Tra le varie moto che ho guidato c’è la Yamaha Diversion, parliamo degli anni ’90, una moto da strada con poca manutenzione e prestazioni da medio-lungo viaggio (due motorizzazioni, 600cc e 900cc), con la quale ho fatto il mio tragitto non-stop più lungo, di circa 1200 km, dall’Italia all’Olanda. Ricordo i commenti relativi al nome, come ricordo la mia soddisfazione nel sapere che, in realtà, il significato era quello dello svago e della possibilità di poter deviare da un percorso all’altro, grazie alla sua flessibilità e adattabilità a diverse situazioni e terreni, pur non essendo una moto enduro stradale (ero andato anche nel Peloponneso, in Grecia, dove apparivano improvvisamente strade sterrate, come nella foto).
Quante volte dedichiamo il giusto tempo ad analizzare l’etimologia e il significato delle parole che utilizziamo, specialmente in ambito lavorativo? Ad esempio, del termine Diversity, che va sempre più di moda, ne conosciamo la storia affascinante?
Innanzitutto, proviamo con la traduzione italiana: diversità. Il più delle volte, nell’immaginario collettivo, la diversità viene percepita come una condizione negativa, o quanto meno che richiederà maggiori sforzi per essere gestita, soprattutto se confrontata con parole tipo affinità, somiglianza, uguaglianza. In effetti è vero, ci vuole più tempo per gestire qualcosa di ignoto, rispetto al conosciuto, ma la realtà è che sempre di più le organizzazioni devono confrontarsi con l’ignoto, il cambiamento rapido, ben esplicitato dall’inglese unpredictable. Non sono concetti nuovi, sia ben chiaro, se ne parla da decine di anni, ma mai come ora sono diventati impellenti e strategici per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Torniamo quindi all’etimologia della parola diverso, dal latino Diversus, che principalmente significa volto altrove, indicando anche l’allontanamento (essendo composto dal prefisso verbale dis e il verbo vertere -> volgere). I principali dizionari lo traducono con parole tipo: diverso, separato, lontano, distante, ostile, nemico, avversario, incerto e via dicendo. È quindi chiaro che reinterpretarlo come termine portatore di qualità positive, richieda un grande sforzo culturale, prima ancora che etimologico.
In realtà, cercando tra le traduzioni in altre lingue, specialmente inglese e francese, si trovano interpretazioni più positive, ad esempio “la qualità di essere diverso” e “caratteristica unica” (che molto assomiglia, per rimanere in ambito aziendale, alle Unique Selling Propositions).
Naturalmente ci vorrebbe una ricerca etimologica approfondita, ma per il raggiungimento degli obiettivi aziendali si può partire da queste semplici considerazioni. La diversità è un fatto, sia a livello macro culturale (italiani e pakistani, ad esempio) e che micro culturale (ingegneri e umanisti), tutte persone che potrebbero trovarsi a lavorare assieme e per le quali è necessario attivare dei percorsi di acculturazione, che vanno oltre quelli dell’inclusione. Lasciare al caso le relazioni interpersonali è un grosso rischio, dal momento che si possono velocemente creare i gruppi informali, i quali seguono prevalentemente le regole di somiglianza, ma che spesso non sono coerenti e allineati alle regole aziendali.
La diversità sta raggiungendo livelli di conoscenza e consapevolezza più ampi e trasparenti, come ad esempio quelli della comunità LGBTQ+, sempre più presente (nel senso di manifesta) nei luoghi di lavoro e importante dal punto di vista della gestione delle relazioni interpersonali, partendo ad esempio dalla necessità di gestire eventuali fenomeni discriminatori, non palesi, che possono minare la comunicazione e rallentare l’operatività. Le nuove generazioni, inoltre, si stanno confrontando con la fluidità di genere e questo cambiamento necessita di accorgimenti nella comunicazione già a partire dalla formazione scolastica, e successivamente nel mondo aziendale (basti pensare all’opportunità di riuscire a comunicare in maniera adeguata la promozione di un prodotto o servizio, che soddisfi non solo più i termini “per lui e per lei”).
E’, per fortuna, evidente a tutti, almeno concettualmente, che la diversità sia funzionale alla sopravvivenza delle organizzazioni, in termini di strategia, di operatività e, fenomeno più recente spinto dalla pandemia, anche relativamente alla richiesta (non richiesta in realtà, ma accaduta) di essere diversi nel nostro modo di lavorare. Solo da opinioni diverse e variegate può nascere una nuova idea e il confronto continuo con punti di vista differenti è fondamentale per la gestione delle variabili, sempre maggiori e improvvise.
Quindi, ben venga la diversità, solo se in azienda sono presenti strategie e percorsi formativi e consulenziali, di lungo periodo, volti alla sua valorizzazione e conseguente soddisfazione delle persone coinvolte direttamente, tra le quali ci potrebbe essere anche chi analizza gli indici di redditività, che sono parimenti importanti!
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